Gai-Jin (141 page)

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Authors: James Clavell

Tags: #Fiction, #Action & Adventure

BOOK: Gai-Jin
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Katsumata le aveva raccomandato:

“Non essere impetuosa. Non esporti a nessun pericolo se non vedi una via di scampo sicura. Accanto a lui sei di grande valore strategico per noi. Non rovinare questo risultato e non coinvolgere Koiko”.

“Ma non sa niente di me?”

“Soltanto quello che le ho raccontato.”

“Dunque dev'essere già coinvolta. Spiacente, voglio dire che Yoshi mi accetterà grazie a lei. “

“E' lui a decidere, non Koiko. No, Sumomo, Koiko non è tua complice. Se scoprisse chi sei veramente, e soprattutto chi è Hiraga, e i vostri piani, non ti vorrebbe con sé... sarebbe costretta a respingerti.”

“Di quali piani parli? Per favore, qual è il mio primo dovere in questa missione?”

“Essere pronta. Meglio una spada in agguato che un cadavere.

Ma io non ho spade, pensò Sumomo. Forse potrei rubarne una a una guardia, se riuscissi a coglierla di sorpresa. Ho tre shuriken con le punte avvelenate nel mio fagotto e il coltello nell'obi, che non abbandono mai. Più che sufficienti, se agisco in fretta.

Eh sì, la vita è proprio strana.

E strano che adesso io preferisca agire da sola quando sono cresciuta sentendomi parte di un'unità, abituata a pensare e decidere insieme al gruppo. Lavorare e vivere con il gruppo shishi mi piaceva, eppure adesso...

Eppure, se devo essere onestà, “Sii sempre onestà con te stessa, Sumomo-chan” le aveva ripetuto infinite volte suo padre, “è l'unica strada praticabile per un capo” e trovo faticoso domare la mia voglia di comportarmi come un capo e di costringere gli shishi a pensare e agire nel modo giusto.

E il mio karma, quello di diventare un capo? o piuttosto il mio karma è di morire senza essermi realizzata, perchè nel mondo giapponese è davvero sciocco per una donna desiderare d'essere un capo. Strano desiderare l'impossibile. Perché sono così diversa dalle altre donne? Forse perchè mio padre non aveva figli maschi e ci ha cresciute raccomandandoci sempre d'essere forti, di affermare i nostri diritti e di non avere paura, autorizzandomi persino, contro la volontà della mamma, a seguire Hiraga e la sua impossibile stella...

Si mise a sedere sui futon arruffandosi i capelli nel tentativo di schiarirsi le idee e impedire alla mente di scatenarsi in pericolose fantasie, poi tornò a sdraiarsi. Ma il sonno non voleva arrivare, e vedeva soltanto immagini di Hiraga, Koiko, Yoshi, Katsumata, e di lei stessa.

Anche Yoshi era strano. “Dobbiamo uccidere Yoshi e lo shògun” aveva ripetuto Katsumata infinite volte, e Hiraga: “Non per ciò che essi sono ma per quello che rappresentano.

Il potere non tornerà mai nelle mani dell'imperatore fino a quando loro due rimarranno vivi.

Quindi devono sparire, soprattutto Yoshi, perchè è la sua persona che tiene unito lo shògunato...

Sonno-joi è il nostro faro, per raggiungerlo ogni sacrificio è lecito!”.

Peccato dover uccidere il principe Toranaga. Peccato anche che sia un uomo per bene e non un essere spregevole come Anjo. In realtà non conosco Anjo. Forse anche lui è un uomo gentile e tutto quello che si dice sul suo conto non è che l'invenzione di nemici stolti e maldicenti.

In questi giorni ho capito chi è Yoshi: un uomo d'azione, gentile, forte, saggio e appassionato. E Koiko? Che donna meravigliosa! E al tempo stesso quanta tristezza; è così triste avere un destino come il suo.

Ricorda quello che ti ha detto: “Il guaio nel nostro mondo è che per quanto una donna si eserciti e impari tutte le difese e decida di trattare i clienti soltanto come clienti, può capitare che nella sua vita ne compaia uno capace di trasformarle il cervello in gelatina, la determinazione in chiacchiere senza senso e i lombi in un vulcano.

Quando questo accade si vive un'esperienza spaventosa e sublime e terribile. Sei perduta, Sumomo.

Se gli dei ti proteggeranno morirai con lui, o morirai quando ti lascerà, oppure resterai in vita ma dentro sarai morta lo stesso”.

“Non permetterò mai che mi accada una cosa simile quando sarò grande” aveva esclamato Teko sentendo i loro discorsi. “A me non succederà.

Voi siete stata trasformata in gelatina, padrona?” Koiko aveva riso. “Molte volte, bambina mia, e tu hai dimenticato una delle lezioni più importanti: chiudere le orecchie quando altre due persone stanno parlando. Adesso vai subito a letto.”

Era stata trasformata in gelatina Koiko? Sì.

E' chiaro che considera il principe Yoshi ben più di un cliente, anche se fa molti sforzi per nasconderlo. Dove la porterà questa storia? E' un triste epilogo, temo, molto triste. Lui non farà mai di lei la sua concubina.

E io? Succederà la stessa cosa anche a me? Sì, credo di sì... quello che ho detto al principe Yoshi corrispondeva al vero: Non sposerò mai un altro uomo. “E' la verità...” mormorò precipitando nello scoramento.

“Smettila” si disse seguendo il metodo appreso nell'infanzia dalla cantilena di sua madre: “Abbi soltanto pensieri gentili, piccolina mia, perchè questa è una valle di lacrime, e se si hanno pensieri tristi ci si ritrova in un batter d'occhio nel pozzo della disperazione. Abbi soltanto pensieri gentili ......

Con uno sforzo rivolse la mente altrove: soltanto Hiraga rendeva la sua vita degna d'essere vissuta.

Si sentì attraversare da un brivido allorché fu colpita da un'idea del tutto nuova che aveva la forza sconvolgente di una rivelazione: questo sonno-joi è una sciocchezza! E' soltanto uno slogan. Niente cambierà.

Qualche capo forse, nient'altro. E con i nuovi capi le cose andranno meglio di oggi? No, a meno che tra loro non ci siano Hiraga e anche Katsumata, ma... ah, spiacente, non vivranno mai fino a quel giorno.

Dunque perchè seguirli?

Una lacrima le scivolò lungo una guancia. Perché Hiraga mi trasforma il cervello in gelatina, i lombi in...

 

All'alba Yoshi scivolò fuori dalle coltri e senza far rumore andò nell'altra stanza con la yukata arrotolata sulle gambe, il respiro visibile nell'aria fredda. Koiko si stiracchiò, vide che Yoshi non aveva bisogno di lei e si riappisolò.

Nell'altra stanza i futon e le coperte di Sumomo erano già stati ripiegati e riposti nello stipo e il tavolino basso era già pronto per la colazione, con i due cuscini al loro posto.

Fuori il freddo era pungente. Yoshi infilò i sandali di paglia e percorse la veranda diretto verso il gabinetto esterno; fece un cenno al servitore in attesa e scelse un secchio vuoto per orinare. Si compiacque del getto abbondante che fuoriusciva dal suo corpo. In piedi accanto a lui c'erano altri uomini.

Non prestò loro alcuna attenzione e a sua volta venne ignorato. Diresse il flusso di orina sulle onnipresenti mosche senza alcuna speranza di riuscire ad annegarle.

Quand'ebbe finito si spostò dietro il secchio e si accovacciò sopra un buco libero in una lunga panca sulla quale stavano già seduti parecchi uomini e alcune donne tra le quali Sumomo. Nella sua mente si sentiva solo; orecchi, occhi e narici erano sigillati, indifferenti alla loro presenza come a quella di chiunque altro.

Quell'indispensabile capacità di isolarsi veniva imparata a duro prezzo fin dall'infanzia: “E' fondamentale imparare a sentirsi soli, figlio mio, lo devi imparare, o la tua vita diventerà insopportabile” gli avevano insegnato a viva forza, come a tutti i bambini.

“Viviamo gomito a gomito, bambini e genitori e nonni e cameriere e altri ancora in case minuscole le cui pareti sono fatte di carta; l'intimità dev'essere coltivata nella mente, l'unico luogo nel quale può esistere, l'unico luogo tutto tuo, insieme alla capacità altrettanto indispensabile d'essere educato verso gli altri.

Solo così potrai stare tranquillo, solo così sarai civilizzato, solo così conserverai la salute.” Distrattamente scacciò le mosche. Una volta, quand'era bambino, aveva perso la calma con un paio di mosche che lo stavano tormentando e aveva cercato di schiacciarle. Ne aveva guadagnato due sonori ceffoni che gli avevano fatto bruciare le guance ma soprattutto l'avevano intristito perchè aveva procurato un dispiacere alla madre costringendola a punirlo.

“Mi dispiace, figlio mio” gli aveva detto lei con dolcezza. “Le mosche sono come l'alba e il tramonto: inevitabili. Ma possono dare fastidio, se tu glielo consenti.

Devi imparare a ignorarle. Ogni giorno, per il tempo necessario, ti prego di lasciare che le mosche si posino sul tuo viso e sulle tue mani senza che tu ti muova. Fino a quando non esisteranno più. Le mosche devono smettere di esistere, usa la tua volontà, è per questo che ti è stata data. Devono smettere di esistere, perchè solo così non riusciranno mai a rovinare la tua armonia o, peggio ancora, l'armonia degli altri...”

Ora, accovacciato sulla panca, sentì le solite mosche sulla schiena e sulla fronte. Non lo irritavano più.

Si sbrigò in fretta. La carta di riso era di buona qualità. Si sentiva in salute e pieno di energia; tese le mani al servitore che vi versò dell'acqua, quando le mani furono pulite si versò altra acqua sul viso rabbrividendo, accettò una piccola salvietta e si asciugò, tornò sulla veranda e lasciò che i sensi si aprissero al giorno.

Intorno a lui la locanda si stava risvegliando; i pony venivano strigliati e sellati, uomini, donne, bambini, portatori stavano mangiando e chiacchierando rumorosamente quando non erano già in partenza per la prossima tappa, verso Kyòto o Edo.

Nell'area comune vicino al cancello d'ingresso Abeh era occupato a ispezionare uomini ed equipaggiamento.

Quando vide Yoshi gli si avvicinò.

Poiché erano circondati da estranei si sforzò di non inchinarsi. Aveva l'uniforme pulita e un aspetto riposato. “Buongiorno.” Riuscì a stento a trattenersi dall'aggiungere “signore”. “Quando volete partire noi siamo pronti.”

“Dopo colazione. Fate preparare un palanchino per la signora Koiko.”

“Subito. Con i pony o i portatori?”

“I pony.” Yoshi tornò senza fretta verso le sue stanze e comunicò a Koiko che per quel giorno non avrebbe dovuto montare a cavallo, che lui avrebbe valutato i progressi fatti col palanchino e poi, la sera, avrebbe preso una decisione.

Sumomo avrebbe cavalcato come sempre.

Al tramonto, quando si fermarono, avevano superato a malapena due stazioni.

 

Hamamatsu

 

Yoshi scelse la Locanda degli Aironi per trascorrere la notte nel villaggio di Hamamatsu, un grazioso agglomerato di case e locande in mezzo al quale passava la Tokaidò in una curva verso il mare.

La locanda offriva un servizio passabile ma andava famosa per il suo sakè.

Dopo aver cenato da solo, Yoshi andò come sempre a raggiungere Koiko.

Se mangiavano insieme, lei, che aveva consumato qualcosa prima, quasi non toccava cibo per poterlo servire con maggior zelo. Quella sera Yoshi desiderava giocare a go, una complessa trama di strategie in tutto simile alla dama.

Erano entrambi buoni giocatori, ma Koiko era addirittura una virtuosa, abile al punto di poter scegliere in anticipo se vincere o perdere una partita. Ciò le rendeva il gioco doppiamente difficile. Yoshi le aveva ordinato di non perdere mai volontariamente ma lui faticava ad accettare la sconfitta. Se in una giornata negativa era Koiko a vincere, Yoshi era capace di tenerle il broncio; se invece vinceva lui gli tornava il buon umore.

Quella sera vinse. Di stretta misura.

“Oh sire, mi avete stracciato!” esclamò Koiko. “E pensare che credevo di avervi battuto!” Si trovavano nella camera interna di Koiko seduti con le gambe rannicchiate sotto il tavolino dove ardeva un minuscolo braciere, e avvolti da una pesante coperta che era stata ben rimboccata per respingere gli spifferi e conservare il massimo del calore. “Avete abbastanza caldo?”

“Sì, grazie, Koiko. Come vanno i tuoi acciacchi?”

“Oh, ma io sto benissimo. La massaggiatrice era eccellente.

Sumomo” chiamò, “sakè e tè per favore.” Nell'altra stanza Sumomo prese la fiaschetta e la teiera appoggiate sul braciere e le portò ai due giocatori. Li servi con perizia e Koiko annuì soddisfatta.

“Hai imparato la cerimonia del tè, Sumomo?” le chiese Yoshi.

“Sì, sire” rispose la ragazza, “ma... ma temo di non esserne all'altezza” Il principe Yoshi è un maestro della cerimonia del tè” disse Koiko mentre sorseggiava il sakè gradevolmente caldo.

La schiena e il sedere le dolevano a causa del lungo sballottamento sul palanchino, le cosce erano doloranti per via dei due giorni trascorsi a cavallo e la testa per lo sforzo di perdere la partita di go mentre fingeva di inseguire la vittoria.

Riusciva tuttavia a nascondere i suoi malanni insieme alla tristezza che le derivava dalla consapevolezza di aver percorso, quel giorno, una tappa persino più breve del solito. Era evidente che lui ne era dispiaciuto.

Tuttavia, pensò Koiko, entrambi sappiamo che un'altra marcia forzata non sarebbe possibile. Lui deve precedere e io lo seguirò. Sarà anzi riposante restare sola per qualche giorno. Per quanto meravigliosa, questa vita mi consuma.

Sorseggiarono in silenzio il sakè, poi Yoshi parlò.

“Domani mattina, molto presto, io partirò con trenta uomini e ne lascerò dieci con te comandati da Abeh. Mi seguirai a Edo con comodo.”

“D'accordo. Con il vostro permesso... posso seguirvi il più in fretta possibile?” Yoshi sorrise. “Ne sarò contento, ma soltanto se non arriverai dolorante nel corpo né nello spirito.”

“Anche se ciò accadesse il vostro sorriso mi guarirebbe all'istante.

Un'altra partita?”

“Si, ma non di go!” Lei rise. “Allora devo fare qualche preparativo.” Si alzò e andò nella stanza esterna chiudendo la porta dietro di sé. Yoshi la sentì parlare con Sumomo ma non prestò alcuna attenzione a quanto dicevano, distratto dai pensieri sui preparativi per l'indomani, l'arrivo a Edo e i gai-jin.

Le due donne si allontanarono.

Yoshi finì di bere il sakè apprezzandone anche l'ultima goccia; poi entrò nella stanza da letto dove i futon e i copriletto imbottiti erano stati sistemati sugli impeccabili tatami. Le coperte avevano paesaggi e colori invernali. Yoshi si tolse la yukata imbottita, rabbrividendo e si infilò sotto il piumino.

Sentì Koiko muoversi nell'altra stanza, poi la vide entrare e dirigersi verso il bagno dove c'erano i vasi da notte da usare in caso di necessità, le brocche d'acqua da bere e per lavarsi. “Ho mandato Sumomo a dormire in un'altra stanza questa notte” gli disse, “e ho chiesto ad Abeh di mettere una sentinella fuori dalla porta con l'ordine di non disturbarvi fino all'alba.”

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