Gai-Jin (93 page)

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Authors: James Clavell

Tags: #Fiction, #Action & Adventure

BOOK: Gai-Jin
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“Tutto e niente, signore.” Inejin e i suoi antenati servivano quel ramo dei Toranaga da tre secoli. Essendo un hatamoto non aveva paura di dire la verità, era anzi obbligato a farlo. “La terra è stata lavorata e curata bene, il raccolto cresce, ma i contadini dicono che quest'anno ci sarà carestia anche qui nel Kwanto.”

“Quanto sarà grave la carestia?”

“Quest'anno avremo bisogno di far venire il riso da fuori, e fuori sarà peggio.” Yoshi ricordò le parole di Hosaki e si compiacque della lungimiranza e della prudenza di sua moglie. Si compiacque anche di avere un vassallo come Inejin, perchè era raro trovare un uomo di cui fidarsi ciecamente e ancora più raro trovarne uno che dicesse la verità, una verità fondata sulla conoscenza e non sul desiderio di affermazione personale. “E poi?”

“Tutti i samurai guardano impazienti allo stallo tra la Bakufu e i signori esterni, ribelli di Satsuma, Choshu e Tosa. I samurai di quei regni sono pure scontenti, per il solito problema: le loro paghe, immutate dal secolo scorso, li mettono in difficoltà sempre più gravi, perchè non gli consentono di pagare gli interessi sui debiti crescenti e di comprare riso e cibo a prezzi sempre maggiori.”

Inejin era profondamente consapevole del problema, perchè gran parte della sua estesa famiglia, che ancora apparteneva alla classe dei samurai, soffriva di stenti. “Gli shishi aumentano di giorno in giorno i loro ranghi, se non alla luce del sole almeno clandestinamente. I contadini sono sempre docili, ma non altrettanto i mercanti che, salvo la maggioranza di quelli di Yokohama e Nagasaki, caldeggiano l'espulsione dei gai-jin.”

“E sonno-joi?”

“Come molte cose su questa terra, signore” rispose l'anziano dopo una pausa, “quel grido di battaglia è in parte giusto e in parte sbagliato.

Tutti i giapponesi detestano i gai-jin, persino più dei cinesi e dei coreani, e vogliono che se ne vadano. Tutti i giapponesi onorano il Figlio del Cielo e credono che la Sua volontà di espellerli sia la politica giusta. Tra i venti uomini presenti qui questa sera, penso che non ce ne sia nessuno in disaccordo con questo aspetto di sonno-joi.

Voi stesso lo approvate, purché lo shògunato detenga il potere temporale per eseguire le Sue volontà, secondo le regole stabilite dallo shògun Toranaga.”

“Giusto” convenne Yoshi, ma in cuor suo sapeva che se fosse stato al potere non avrebbe mai sottoscritto il primo Trattato, cosicché l'imperatore non avrebbe avuto bisogno di interferire con le questioni di competenza dello shògunato, né avrebbe mai lasciato che il Figlio del Cielo venisse mal consigliato da cortigiani meschini.

Tuttavia, diversamente da sonno-joi, se avesse avuto il potere ora, avrebbe fatto entrare nel paese qualche gai-jin prima che fosse troppo tardi. Ma solo alle sue condizioni, e solo per commerciare quello che voleva lui. Soltanto con una flotta e armi come le loro, pensò, possiamo difendere la nostra terra e cacciarli dai nostri mari, e compiere finalmente il nostro destino storico di insediare l'imperatore sul Trono del Drago della Cina.

E a quel punto, con i loro milioni e il nostro bushido, l'intero mondo gai-jin sarà ai nostri piedi. “Proseguite, Inejin.”

“Non c'è molto altro che voi già non sappiate, signore. Molti temono che l'infante shògun non diventerà mai un uomo, molti sono irritati dalla poca saggezza dimostrata dal Consiglio, molti sono turbati perchè il vostro prudente suggerimento di evitare questo viaggio in veste di supplicante a Kyòto non è stato ascoltato, molti rimpiangono che voi non controlliate il Roju per imporre i necessari cambiamenti: liberare la Bakufu dalla corruzione per renderla una forza efficiente e porre fine alla sommossa.”

“Lo shògun è lo shògun” disse Yoshi laconico, “e tutti devono appoggiare lo shògun e il Consiglio. E' il nostro signore e lo dobbiamo sostenere come tale.”

“Sono assolutamente d'accordo, sire, riporto solo l'opinione dei samurai come meglio posso. Pochi vogliono che la Bakufu e lo shògun vengano eliminati, solo un pugno di testoni pensa che l'imperatore possa governare il Giappone senza lo shògunato.

Anche tra gli shishi non sono in molti a credere che lo shògunato debba finire.”

“Dunque?”

“La soluzione è ovvia: un uomo forte che prenda in mano il potere e governi come governava lo shògun Toranaga.” Inejin spostò la gamba offesa in una posizione più comoda. “Vi prego di volermi scusare se ho parlato tanto a lungo e consentitemi di sottolineare che sono onorato della vostra visita.”

“Grazie, Inejin” disse Yoshi pensieroso. “Si ha notizia di qualche daimyo che stia radunando le sue forze contro di noi?”

“Nessuna mobilitazione, signore, non in questa zona, anche se ho sentito che Sanjiro ha messo tutto il suo feudo sul piede di guerra.”

“E Choshu?”

“Non ancora, ma Ogama ha nuovamente rinforzato le guarnigioni a guardia delle Porte e aumentato il numero delle batterie di terra sullo Shimonoseki.”

“Ah!

Gli armieri olandesi?” Inejin annuì. “Le spie mi informano che addestrano i loro artiglieri e nel nuovo arsenale di Choshu si fanno quattro cannoni al mese che vengono subito inviati alle ridotte. Presto lo stretto sarà imprendibile.” E questo è sia un bene che un male, pensò Yoshi, è un bene che esista la possibilità di un intervento e un male che sia in mani nemiche.

“Ogama ha intenzione di aumentare gli attacchi contro le navi?”

“Per il momento sembra di no. Ma ha ordinato alle sue batterie di tenersi pronte ad affondare tutte le navi dei gai-jin e di chiudere per sempre lo stretto non appena riceveranno la sua parola d'ordine.” Inejin si piegò in avanti e bisbigliò: “Cielo purpureo”.

Yoshi sobbalzò. “Ma non è la stessa usata dallo shògun Toranaga?”

“Così si mormora.” Yoshi era sconvolto. Questo significa forse che Ogama, come già il mio antenato, sta per sferrare un attacco a sorpresa su tutti i fronti per conquistare il potere assoluto? “Siete in grado di fornirmene le prove?”

“Col tempo. Ma la parola d'ordine per ora è questa. Quanto alle intenzioni di Ogama...” Inejin alzò le spalle. “Ora ha lui il controllo delle Porte. Se riuscisse a convincere Sanjiro ad allearsi con lui...” Scese il silenzio. “Avete fatto un ottimo lavoro.”

“Un altro fatto importante, sire. Il signore Anjo ha una malattia allo stomaco.” A Inejin brillarono gli occhi quando si accorse dell'interesse che le sue parole avevano suscitato in Yoshi. “L'amico di un amico di cui ho piena fiducia mi ha detto che Anjo ha consultato segretamente un dottore cinese. Soffre di una malattia che gli fa marcire gli organi e non si può curare.” Yoshi commentò la notizia con un grugnito che esprimeva contentezza ma anche la paura improvvisa di contrarre a sua volta la malattia.

Chissà da dove o da chi l'ha presa, o se non fosse già in agguato dentro di lui e aspettasse solo il momento di annientarlo. “Quanto gli rimane da vivere?”

“Qualche mese, forse un anno, non di più. Ma dovreste stare molto in guardia, sire, perchè il mio informatore dice che mentre il corpo si decompone senza segni esteriori, la mente rimane lucida e imbocca sentieri implacabili e pericolosi.” Come l'insulsa decisione di permettere alla principessa di comandare, pensò Yoshi, scosso da quelle notizie. “C'è altro?”

“Poi, sire, gli shishi che hanno assalito e assassinato il signore Utani e il suo amante. Al loro comando c'era lo stesso shishi di Choshu che ha assalito il principe Anjo: Hiraga.”

“L'uomo il cui ritratto è stato diramato a tutte le barriere?”

“Sì, sire, Rezan Hiraga, dovrebbe chiamarsi così, stando alla confessione che lo shishi che hanno catturato ha fornito prima di morire. Ma è probabile che sia un nome falso. Un altro suo pseudonimo è Otani.”

“Lo avete preso?” chiese Yoshi pieno di speranza.

“No, sire, non ancora, sfortunatamente abbiamo perso ogni traccia di lui e dunque dev'essere altrove.

Forse a Kyòto.” Inejin abbassò ancora il tono di voce. “Si dice che gli shishi stiano preparando un nuovo attacco a Kyòto e che molti di loro si stiano radunando là. Molti.”

“Che tipo di attacco? Un assassinio?”

“Nessuno lo sa, ancora. Probabilmente un grande attentato. Sembra che a convocarli sia stato il capo degli shishi, che si fa chiamare “Il Corvo”. Sto cercando di scoprire la sua vera identità.”

“Bene. In un modo o nell'altro questi shishi vanno annientati.” Yoshi rifletté un momento. “Credete sia possibile orientare la loro rabbia contro Ogama o Sanjiro, i veri nemici dell'imperatore?”

“Sarà difficile, sire.”

“Avete scoperto chi ha passato agli shishi l'informazione sull'appuntamento segreto di Utani?”

“La cameriera della signora, sire” rispose Inejin dopo una pausa, “che l'ha passata alla mama-san, che l'ha passata a loro.” Yoshi sospirò. “E la signora?”

“La signora sembra non averne colpa, sire.” Yoshi sospirò nuovamente, contento che Koiko sembrasse estranea alla faccenda benché, dentro di sé, continuasse a dubitare della sua lealtà.

“Quella cameriera è con noi, mi occuperò di lei personalmente. Assicuratevi che la mama-san non sospetti di niente, di lei ci occuperemo al mio ritorno. Avete scoperto chi è l'altra spia, quella che dà le informazioni ai gai-jin?”

“Non con certezza, sire. Mi hanno detto che il traditore è Ori, o almeno così si fa chiamare.

Non conosco il suo nome completo, ma è uno shishi di Satsuma, già al servizio di Sanjiro, uno dei due assassini della Tokaidò.”

“Che inetti! Uccidere un uomo soltanto quando ne avrebbero potuto facilmente uccidere quattro. Dov'è quel traditore?”

“Si nasconde nell'Insediamento di Yokohama, sire. E' diventato il confidente segreto dell'interprete inglese e anche di quello francese, di cui voi stesso mi avete parlato.”

“Ah, anche lui.” Yoshi rifletté per un istante. “Mettete subito a tacere questo Ori.” Inejin si inchinò in segno di ubbidienza. “C'è altro?”

“La mie informazioni finiscono qui, sire.”

“Grazie. Avete fatto un buon lavoro.” Yoshi finì il suo tè sovrappensiero.

La luce della luna disegnava strane ombre.

Il vecchio ruppe il silenzio.

“Il vostro bagno è pronto, sire, e dovete essere affamato. E tutto pronto.”

“Grazie, ma è una bella nottata, preferisco rimettermi subito in viaggio. Ho molte cose da sbrigare al Dente del Drago. Capitano!” Presto furono tutti radunati, Koiko e la sua dama di compagnia indossarono di nuovo gli abiti da viaggio e lei salì nel suo palanchino. Con il dovuto rispetto, Inejin, i membri della sua famiglia, le cameriere e gli inservienti si inchinarono al passaggio dell'illustre ospite.

“Che ne facciamo di tutto il cibo che abbiamo preparato?” chiese esitante la moglie, una donna minuta dal volto rotondo, anch'essa di origini samurai, che si era affrettata a comprare il cibo migliore per onorare la breve visita del loro degno signore, spendendo più del loro guadagno di tre mesi in quell'unico pasto.

“Lo mangeremo noi.” Inejin osservò il corteo attraversare il villaggio addormentato e sparire nella notte. “E' stato bello vederlo, un grande onore.”

“Sì” disse lei seguendolo in casa ossequiosa.

La notte era piacevole e la luna illuminava il cammino. Oltre il villaggio, la strada sterrata si snodava a settentrione attraverso boschi e villaggi disseminati qua e là su un territorio che Yoshi conosceva bene sin dall'infanzia. Regnava una grande pace. Nessuno si metteva in viaggio a quell'ora di notte, tranne i ladri, i ronin o i rappresentanti delle classi superiori.

Guadarono un torrente che attraversava una radura. Giunti sull'altra sponda, Yoshi diede l'alt e chiamò il capitano.

“Sire?”

Nello stupore generale, Yoshi si girò sulla sella e indicò l'est e il sud, alle loro spalle, sulla costa.

“Ho modificato il mio piano” disse come se si trattasse di una decisione improvvisa anziché di un progetto maturato da tempo.

“Ora andiamo da quella parte, verso la Tokaidò, ma eviteremo le prime tre barriere e torneremo sulla strada poco dopo l'alba.”

Il capitano non aveva bisogno di chiedere quale fosse la destinazione. “Una marcia forzata, sire?”

“Sì. In silenzio. Mettiti alla testa!”

Sono circa centoventi leghe, pensò, dieci o undici giorni di viaggio.

Poi Kyòto e le Porte.

Le mie Porte.

Capitolo 25


 

Yokohama

 

Nel tardo pomeriggio di quello stesso giorno Hiraga sgusciò dietro una baracca ai confini della Città Ubriaca.

Il marinaio, un uomo piccolo e sporco, lo attendeva nervoso.

“Dammi i soldi, amico” disse.

“Ce li hai, vero?”

“Sì. La pistola, per favore?”

“Prima eri un signore, ora sei uno straccione schifoso.”

L'uomo, sospettoso e grigio in volto, teneva un coltellaccio infilato nella cintura e un altro nel fodero sull'avambraccio.

Quando lo aveva incontrato la prima volta sulla spiaggia, Hiraga indossava gli abiti che gli aveva procurato Tyrer, ora era vestito con un sudicio camice di lana da lavoratore, rozzi pantaloni e stivali logori.

“Che gioco fai?” Hiraga alzò le spalle perchè non lo capiva.

“La pistola, per favore.”

“Pistola, eh? Sì, ce l'ho.” L'uomo scrutò con i suoi occhietti sfuggenti l'appezzamento coperto di erbacce e rifiuti che i locali chiamavano Terra di Nessuno tra la Città Ubriaca e il villaggio giapponese, ma non avvertì la presenza di osservatori indesiderati.

“Dov'è il denaro?” disse cupo.

“I soldi insomma, i dollari messicani!” Hiraga, a disagio in quella strana circostanza e con quegli abiti, estrasse dalla tasca del camice tre luccicanti dollari messicani d'argento e glieli mostrò. “La pistola, prego.” Il marinaio infilò con impazienza la mano nella camicia e gli mostrò la Colt. “Te la do quando mi dai i soldi.”

“Le munizioni, prego?” Dalla tasca dei pantaloni l'uomo fece uscire uno straccio lurido con una dozzina di cartucce. “Un patto è un patto e io sono di parola.” Il marinaio si allungò verso le monete ma Hiraga chiuse la mano.

“Non è rubata, vero?”

“Certo che non è rubata, insomma!” Hiraga aprì il pugno. Continuando a guardarsi in giro l'uomo afferrò avidamente le monete e le esaminò con diffidenza per assicurarsi che non fossero tagliate o bucate. Convinto, gli porse la pistola e i proiettili e si alzò. “Non ti far prendere con questa, amico, o ti appendono. E' ovvio che è rubata.” Con un ghigno si dileguò come avrebbe fatto il topo a cui assomigliava.

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