Mentre gli altri nella piazza si ridestavano alla vita e barcollando si rimettevano in piedi, cupo in volto, si lanciò subito all'inseguimento.
Ori si mise a correre.
Ma un gruppo di uomini terrorizzati e furiosi, alcuni ridendo istericamente, altri piagnucolando la loro riconoscenza a Dio, lo bloccarono. E lo stesso accadde a Hiraga. “Cosa diavolo fai...”
“Perché diavolo spingi, per Dio...”
“Ehi, è un fottuto giapponese...”
Poi qualcuno gridò: “FUOCO! GUARDATE!”.
Come tutti, anche Ori guardò verso nord. In fondo alla passeggiata un edificio divampava. Lo riconobbe: era il quartier generale a due piani della Struan, o forse l'edificio accanto. Indifferente a tutto, Ori sfondò la barriera umana che lo tratteneva.
Hiraga a sua volta spingeva per liberarsi ma in quell'istante crollò una mescita di gin li accanto, e fu travolto dagli uomini in fuga, gettato a terra e calpestato. Nella confusione lottò per rimettersi in piedi. In quel settore della piazza la folla si agitava in preda al panico impedendogli di muoversi. Scorse per un attimo Ori, poi i rottami del bar si incendiarono e di nuovo la folla arretrò impazzita bloccandolo.
Quando ritrovò l'equilibrio, il punto in cui aveva scorto Ori era coperto alla vista e più tentava di farsi largo in quella direzione più si scatenavano reazioni violente. “Chi sta spingendo, per Dio... E' un fottuto giapponese... Date addosso alla canaglia...”
Finalmente riuscì a divincolarsi e a portarsi al limite della piazza, ma Ori non stava più scappando lungo la passeggiata verso l'incendio come si aspettava e neppure lungo la spiaggia: era svanito nel nulla.
Nel palazzo della Struan, Jamie McFay correva su per le scale nella semioscurità tra grida d'allarme e “Al fuoco!” con una lampada a olio che gli dondolava tra le mani. L'unica luce rimasta intorno alla scala era quella di un lampadario che ancora ondeggiava per le scosse del terremoto.
McFay raggiunse il pianerottolo, si precipitò nel corridoio e spalancò la porta di Struan. “Tai-pan, state bene?”
La stanza era in ombra, illuminata solo dal flebile bagliore che danzava sulle tende della finestra.
Struan, mezzo vestito per la cena, giaceva sul pavimento, ancora stordito, e scuoteva la testa per schiarirsi i pensieri. Le due lampade a olio erano cadute e lo stoppino di quella nascosta dietro la scrivania sfrigolava sul tappeto imbevuto di olio. “Credo di sì” boccheggiò, “devo aver battuto la testa quando quell'affare mi ha scaraventato a terra. Dio santissimo, Angélique!”
“Lasciatevi aiutare...”
“Ce la faccio da solo, andate da lei, Jamie!” Jamie tentò di aprire la porta comunicante che era stata sprangata dall'altra parte. In quell'istante prese fuoco il tappeto e Struan si trascinò lontano bestemmiando per il dolore. Prima che le fiamme divampassero, Jamie le spense con i piedi. Poi, nella fretta di aiutare Struan, lo sollevò malamente.
“Gesù, Jamie, state attento!”
“Scusate, scusate davvero, non volevo...”
“Non importa” ansimò Struan lottando contro una violenta fitta al fianco sul quale era caduto, e anche contro un dolore allo stomaco mai avvertito prima e la solita ferita ormai cicatrizzata ma sempre irritata.
“Dov'è il fuoco?”
“Non lo so, ero di sotto, quando...”
“Dopo... Angélique!” Jamie si precipitò in corridoio. Il fumo che veniva dal fondo lo fece tossire. Picchiò sulla porta, poi provò a forzare la serratura chiusa dall'interno. Abbatté la porta con un colpo di spalla. Il boudoir era vuoto e una delle lampade, rovesciata e ancora accesa, stava facendo sgocciolare l'olio sul rivestimento di stoffa della cassettiera, mentre da quella a pezzi sul pavimento l'olio era schizzato dovunque. Jamie spense lo stoppino e corse nella camera. Angélique era seduta sul letto a baldacchino, pallida come la sua vestaglia, con gli occhi fissi sul lampadario a olio che ondeggiava in modo sinistro e continuava assurdamente a rimanere acceso.
“State bene, Angélique?”
“Oh, Jamie...” rispose lei esitante, con voce lontana. “Si, quando la stanza ha cominciato a tremare stavo, stavo riposando in attesa di vestirmi per la cena. Ho pensato che fosse un sogno ma poi le lampade sono cadute e, mon Dieu, il rumore dell'edificio che si muoveva mi ha spaventata moltissimo... Oh, Malcolm è...”
“Sì, ora vestitevi più in fretta che potete. Svelta...” La campana antincendio della capitaneria di porto suonò l'allarme facendoli sobbalzare. Improvvisamente desta, Angélique riconobbe l'odore del fumo, le grida attutite, scorse il bagliore oltre le tende della finestra e sussurrò: “Stiamo andando a fuoco?”.
“Per il momento non è preoccupante ma dovreste vestirvi più in fretta possibile e raggiungerci qui accanto.
Aprirò la porta comunicante.” Corse via. Lei scese dal letto. Sotto la vestaglia indossava i mutandoni e un corpetto steccato. Si infilò rapidamente nella crinolina che le cameriere le avevano preparato per la cena e prese uno scialle.
“Lei sta bene, tai-pan” lo sentì dire attraverso la porta comunicante aperta. “Si sta vestendo, lasciatevi aiutare a scendere di sotto.”
“Quando Angélique sarà pronta.” Jamie stava per dire qualcosa ma cambiò idea. Tra loro pesava il ricordo dello scontro avvenuto a pranzo, e non ancora risolto.
Aprì la finestra. Nel giardino e nella strada di fronte vide una grande confusione di impiegati e domestici e Vargas. Passanti e abitanti delle altre Legazioni accorrevano agitati, ma ancora non scorgeva le fiamme. “Vargas!” gridò. “Dov'è il nostro incendio?”
“Non ne siamo sicuri, senhor, probabilmente ha colpito soltanto una parte del tetto. Sono già saliti il capo dei pompieri e i suoi uomini, ma ora ha preso fuoco l'ultimo piano di palazzo Brock.” Jamie, che da lì non poteva scorgere l'edificio attiguo, tornò di corsa nel boudoir di Angélique e aprì le tende.
Il fuoco si era impadronito della facciata di palazzo Brock, un edificio a due piani simile a quello della Struan, all'altezza delle camere da letto padronali. Dalle finestre si levavano nuvole di fumo. Gli uomini, sotto la direzione di Norbert Greyforth, si passavano secchi d'acqua tentando di domare l'incendio.
Le squadre di pompieri della Brock erano state addestrate spesso e duramente, come McFay esercitava quelle della Struan. Le fiamme sferzate dal vento e il fumo minacciavano anche il loro palazzo.
Sarebbe una bella sfortuna se il loro maledetto incendio spazzasse via anche il nostro edificio, pensò Jamie con stizza, poi si sporse dalla finestra.
“Vargas” gridò, “raduna i nostri uomini e gettate acqua da questa parte, qui! Quando saremo al sicuro, vai ad aiutare Norbert.” Spero che quella canaglia bruci, e che con lui bruci tutta la Brock, quello stupido duello sarebbe sventato per sempre.
Dalla posizione in cui si trovava non vedeva nessun altro incendio, oltre quello in fondo alla passeggiata, nella Città Ubriaca, e due nello Yoshiwara. L'odore acre di legno bruciato, di olio, di stoffa e del catrame con cui si rivestivano i tetti copriva ogni cosa, sebbene nell'aria si sentisse anche il profumo di salsedine portato dalla brezza.
La sua attenzione tornò alle fiamme che dal palazzo Brock li minacciavano. Il vento le spinse ancora più vicino e lui desiderò con forza che si estinguessero, perchè il fuoco lo terrorizzava: un maledetto inverno, quando era bambino, il casolare in cui era nato era andato a fuoco; suo padre, ubriaco come sempre, e il fratello minore erano morti, e lui, la madre e la sorella, che erano riusciti a mettere in salvo la vita e poco altro, erano stati costretti ad andare in un ospizio. Solo dopo lunghi anni di sofferenze erano stati salvati da Campbell Struan, un parente di Dirk Struan nelle cui terre aveva lavorato suo padre.
“Vargas! Sbrigati, per Dio!”
“Arrivo, senhor.” Ora la passeggiata era stipata di gente e nella strada tutti offrivano aiuto e consigli. Alcuni uomini in fila si passavano gridando i secchi riempiti nell'enorme serbatoio di acqua marina. Dalle baracche militari arrivavano gruppi di soldati. Accorsero a offrire il proprio aiuto anche i samurai di guardia alla porta Nord, perchè quell'incendio rappresentava una minaccia per tutti.
A sud, dall'altra parte del canale, si levava il bagliore di una casa dello Yoshiwara in fiamme e il vento portava altre grida di allarme; tuttavia l'incendio non sembrava di vaste proporzioni e, per fortuna, era molto lontano dal luogo in cui Nemi doveva trovarsi.
Rivoli di sudore gli scendevano lungo la schiena. Che Malcolm fosse in salvo era un sollievo immenso.
Dopo pranzo, nel suo ufficio, non aveva smesso di torturarsi, il fatto che la notizia della ricerca di prospettori fosse trapelata contro ogni sua volontà lo rendeva furioso, inoltre era preoccupato per il duello e per il proprio futuro.
Non aveva mai lontanamente immaginato di potersi trovare coinvolto in un litigio simile né, salvo in caso di malattia grave o di un incidente, di essere costretto a lasciare la Nobil Casa e il Giappone prima di andare in pensione, cioè tra un lustro, all'età di quarantaquattro anni, dopo ben venticinque anni di fedele servizio.
Ora, con Malcolm ostile e Tess Struan furibonda con lui, una sua promozione, la pensione e tutto il suo futuro venivano messi in dubbio.
Che fare? si era chiesto. Poi le scosse del terremoto avevano messo il mondo sottosopra e la consapevolezza della precarietà della sua vita era diventata assoluta. Quando, finite le scosse, si alzò barcollando, l'istinto e la memoria del debito verso gli Struan lo spinsero a precipitarsi di sopra, terrorizzato per la vita di Malcolm. In fin dei conti era lui il responsabile e quel ragazzo era poco più che un invalido.
Il tai-pan? Scusa, Malcolm, ma Norbert ha ragione, è tua madre a comandare. Se non ti avessero ferito saresti corso a Hong Kong al suo richiamo, non sarebbe accaduto niente di tutto questo, avresti preso in mano le redini e in un anno o due...
“Jamie... volete aiutarmi?” Si voltò con uno sguardo assente. Angélique, in piedi sulla porta, gli dava la schiena e premendosi contro il busto il corpetto dell'ampio vestito lo invitava ad allacciarlo. Jamie fu sul punto di gridare: Come potete indossare un vestito del genere, c'è un incendio, per Dio! Tuttavia si trattenne, chiuse in fretta il bottone in alto, la coprì con lo scialle e la spinse nella camera vicina. Lei corse tra le braccia aperte di Struan. Una squadra di uomini passò davanti alla porta con i secchi d'acqua pieni. “E' meglio che ve ne andiate, signore...” gridò qualcuno.
“Tai-pan, è tempo di andare, siete d'accordo?”
“Sì.” Malcolm si affrettò come poteva verso la porta. Con quei due bastoni era lento, troppo lento in caso di una vera emergenza. Tutti e tre ne erano consapevoli, e Struan più degli altri. Dalle soffitte giunse un grande tramestio, gli uomini si misero a sferrare colpi e l'odore del fumo divenne sempre più intenso aumentando la loro ansietà.
“Jamie, portate subito fuori Angélique. Io vi seguo da solo.”
“Appoggiatevi su di me...”
“Fate come vi ho detto, Cristo! Tornerete dopo, se vi sarà possibile.” Jamie arrossì. La prese sottobraccio e uscirono dalla stanza scavalcati dagli uomini che tornavano con i secchi vuoti e da quelli che risalivano con l'acqua.
Rimasto solo, Struan si trascinò alla sua cassettiera, frugò tra i vestiti e afferrò la bottiglietta che Ah Tok gli aveva riempito quel pomeriggio.
Scolata la metà del liquido marrone, richiuse la bottiglietta e la infilò nella tasca della finanziera con un sospiro di sollievo.
Angélique corse giù dalle scale e si precipitò fuori dal portone d'ingresso benedicendo l'aria fresca. “Vargas!” Jamie chiamò. “Occupati della signorina Angélique per un momento.”
“Certo, senhor.”
“Lasciate che me ne occupi io, monsieur” intervenne con sussiego Pierre Vervene, l'ufficiale francese. “Accompagno mademoiselle Angélique alla nostra Legazione. Aspetterà là al sicuro.”
“Grazie.” Jamie tornò dentro.
Da quella posizione Angélique poteva vedere il tetto che stava bruciando: per il momento l'incendio non sembrava grave, ma il fuoco era molto vicino ai loro appartamenti e dal palazzo Brock le fiamme continuavano a lambire il fianco dell'edificio.
Samurai ben addestrati, con i kimono ripiegati perchè non fossero d'ingombro e i volti coperti per proteggersi dalle esalazioni, avevano appoggiato le loro scale contro i muri. Mentre alcuni vi salivano, altri, a gesti e grida, incitavano gli uomini a portare i secchi d'acqua e li passavano velocemente a chi stava più in alto, che li rovesciava dove ce n'era più bisogno.
Il samurai in cima, colpito da un tizzone in fiamme, si scostò, si coprì il viso, sopportò l'assalto e tornò subito a lottare contro il fuoco. Angélique trattenne il respiro. Paragonava, quell'uomo forte e coraggioso a Malcolm, debole, incapace di difenderla in caso di emergenza e sempre più di peso, sempre più invalido, ogni giorno più lamentoso e meno divertente.
Quale futuro mi aspetta? Fu scossa da un fremito.
“Non dovete preoccuparvi, mademoiselle” disse in francese Vervene, con la calvizie nascosta da un berretto con le nappe. “Venite, potete stare tranquilla. I terremoti sono un evento abbastanza normale da queste parti.” La prese sottobraccio e la condusse verso la passeggiata tra frotte di curiosi e persone che lottavano contro il fuoco.
Ori l'aveva vista nel momento stesso in cui era uscita dal portone del palazzo.
Si trovava ai margini della folla all'imboccatura del vicolo che costeggiava la Legazione francese, vicino alla porta Nord. I vestiti da lavoratore e il berretto che indossava non erano molto diversi da quelli di molti presenti e gli permettevano di passare inosservato. Da quella posizione poteva controllare quasi tutta la passeggiata, la facciata del palazzo Struan e la strada di fianco, collegata con la via principale del villaggio.
Smise di fissare Angélique per guardarsi intorno: era certo che Hiraga e Akimoto fossero già nei paraggi o che sarebbero arrivati da un momento all'altro. Il cuore gli batteva ancora all'impazzata per la corsa folle attraverso la Città Ubriaca e il villaggio.
Non appena aveva visto l'incendio del palazzo Struan e la passeggiata in tutta la sua lunghezza, capì che se avesse cercato di percorrerla o di passare dalla spiaggia sarebbe stato sicuramente preso; d'altra parte non c'era tempo per andare a chiamare Timee, per mandarlo in avanscoperta o farsi proteggere alle spalle.