“Ancora qualche minuto” disse Seratard. “Poi André suonerà per noi.”
“Questa sera no” si rifiutò brusco André. “Se non vi dispiace, ho da preparare alcune carte entro domani.”
“Le carte possono attendere, il piacere viene prima degli affari” intimò Seratard con tono autoritario e cordiale insieme. “Abbiamo bisogno di musica per concludere la serata, qualcosa di romantico per Angélique.”
“Lasciatelo in pace, Henri” disse lei con le guance rosee per il vino contenta che André si dimostrasse tanto ansioso di andare a prendere la medicina promessa. “Lo avete tenuto lontano dai suoi affari già troppo a lungo, dopo tutto non è un vostro funzionario.”
“André sarà felice di suonare per noi.”
“Ah, così André deve sempre stare agli ordini? Bene, in questo caso sarò io a dare un ordine a voi, monsieur le ministre, vi ordino di esonerarlo per questa volta... e di esonerare anche me, perchè è ora che io vada a letto.” Alzandosi sentì le ginocchia deboli. Gli altri la circondarono con veementi proteste. “Ma sarò qui anche domani e almeno per i prossimi tre giorni.” Porse la mano ad André con un sorriso d'intesa. “Ora siete libero, vi ordino di occuparvi dei nostri interessi.”
“Potete contarci, Angélique.”
“L'ultimo bicchiere...” Lei si lasciò convincere a portare il bicchiere in camera e tutti l'accompagnarono per verificare che le finestre e le nuove imposte del boudoir e della sua stanza fossero ben chiuse.
“Dopo l'ultima volta che siete stata qui, abbiamo deciso di cambiare le imposte della vostra stanza” disse Vervene, con i radi capelli scomposti e un sorriso ubriaco, ripetendo quanto già le aveva detto, “non hanno sbattuto nemmeno durante il temporale della settimana scorsa.” I loro sguardi furono subito catturati dalla trasparenza verdolina della vestaglia e della camicia da notte distese sul letto, sopra le lenzuola ripiegate in modo invitante dalla tarchiata cameriera che aspettava in un angolo fissandoli con occhi minacciosi. Le fioche lampade a olio e i fumi dell'alcol trasformavano la stanza rendendo Angélique ancora più seducente.
Le augurarono ancora buonanotte e sogni d'oro. Angélique sprangò la porta sul corridoio e finalmente fu sola con Ah Soh. La domestica la spogliò, le spazzolò i capelli, appese la sua crinolina nel profondo armadio con gli altri vestiti e ripose la biancheria nella cassettiera. Angélique la lasciò fare canticchiando contenta.
Era felice di essere li, da sola, si sentiva tranquilla per l'indomani e molto sollevata che l'incendio e il terremoto non avessero ferito nessuno di loro e, lungi dall'interferire con il suo progetto, lo avessero addirittura facilitato.
Convincerò Malcolm e Jamie a fare la pace, pensò euforica, litigare non giova a nessuno dei due. Aveva ancora sete ma era serena e sazia di vino. André sia benedetto. Sarei curiosa di sapere com'è lo Yoshiwara, chissà che tipo è la sua ragazza. Lo incoraggerò a parlarmi di lei, così potremo ridere un po'...”
“'Notte, signorina” la interruppe Ah Soh avviandosi con passo pesante verso il divano del boudoir. L'ultima volta che la domestica aveva dormito lì, aveva russato in modo assordante e, nonostante la porta che le separava fosse chiusa, Angélique ne era stata molto disturbata.
“No, Ah Soh, non dormire qui! Vai e torni domattina chop chop e caffè, heya?” La donna alzò le spalle. “'Notte, signorina.” Angélique sprangò la porta; finalmente del tutto sola nella calda luce della stanza, si mise a volteggiare a passo di valzer canticchiando. Dopo qualche secondo udì le fioche note del pianoforte.
Ah, è Henri, pensò riconoscendone il tocco. Suona bene, meglio di Vervene, anche se non è nemmeno lontanamente paragonabile ad André. Chopin. Dolce, delicato e romantico.
Mentre danzava accompagnata dalla piacevole melodia, colse il suo riflesso nell'alto specchio. Si studiò per un pò, voltandosi di qui e di là, poi sostenne il seno con le mani come era solita fare con Colette, spostando lo sguardo per scoprire in quale atteggiamento il suo corpo fosse più desiderabile.
Sorseggiò un goccio di champagne, le bollicine le solleticavano la bocca, la musica e l'alcol la stimolavano. In un improvviso moto di eccitazione lasciò scivolare la vestaglia, sollevò a poco a poco la camicia da notte e scrutò l'immagine nello specchio ammirando le gambe, i fianchi, il ventre e il seno della persona che le stava di fronte, giocando con le pieghe della camicia per scoprire e celare.
Un altro sorso di champagne. Immerse un dito nel calice e si bagnò i capezzoli turgidi imitando le grandi cortigiane parigine di cui aveva letto, che per prepararsi mettevano sul seno e in altre parti del corpo il dolce Cháteau Yquem. E' curioso che le due cortigiane di cui noi francesi andiamo più fieri siano inglesi.
Posseduta dalla notte, dalla musica e dal vino, si sorrise allo specchio.
Quando avrò fatto uno o due figli e avrò forse ventun anni, Malcolm avrà un'amante e... anch'io sarò pronta per il mio favorito e farò così, per il suo piacere e anche per il mio, e prima di allora per quello di Malcolm.
Un altro sorso.
Quando lo champagne finì, Angélique si lasciò cadere languidamente in bocca l'ultima goccia e, sempre guardandosi allo specchio, leccò con la lingua il bordo del bicchiere. Sorrise di nuovo e credendo di posare il calice sulla toeletta lo fece cadere sul tappeto.
Con gli occhi fissi sullo specchio e sul riflesso sempre più vicino, in una sfrontata intimità, non udiva che Chopin e la sua melodia appassionata.
Chinandosi pigramente in avanti abbassò lo stoppino della lampada e si ritrasse un poco.
Le ombre ora erano più sfumate e la persona nello specchio continuava a guardarla con tenerezza e voluttà. Le sue dita cominciarono a vagare, a scorrere sul corpo come dotate di vita propria e il cuore batteva a un ritmo sempre più veloce sussultando di piacere. Angélique chiuse gli occhi, vedeva l'immagine di Malcolm, alto, forte, molto forte e ne sentiva il profumo della pelle: lui la accompagnava in camera, la distendeva sul letto, si sdraiava al suo fianco, nudo come lei, e le sue dita cominciavano a esplorarla silenziose e amorevoli.
Nella stanza vicina, Ori aveva socchiuso un'anta e senza far rumore era uscito dall'armadio. Fermo nelle ombre scure della porta semiaperta, la osservava con il cuore che pulsava nelle orecchie. Non gli era stato difficile nascondersi tra le valigie, i vestiti e le crinoline appesi, rendersi invisibile sprofondando nel suo nascondiglio quando la domestica aveva aperto e richiuso l'armadio, riconoscere il rumore delle ultime serrature che si chiudevano per la notte, e capire quando Angélique era rimasta finalmente sola.
Nella penombra della stanza, stava sdraiata sulle lenzuola, a occhi chiusi; di tanto in tanto sussultava. La fiammella della lampada che ondeggiava mossa dalle correnti d'aria, non le illuminava il viso, ma disegnava sul suo corpo ombre fluttuanti. Gli sembrò di attendere un'eternità. Poi, senza fare rumore, uscì dal buio e si affacciò sulla soglia. La porta si chiuse, la musica in lontananza si interruppe, Angélique aprì gli occhi e lo vide.
Un'intuizione improvvisa le suggerì che era proprio lui, l'assassino della Tokaidò, il padre del bambino che non sarebbe mai nato, l'uomo che l'aveva stuprata senza lasciarle alcun ricordo di dolore o di violenza, ma solo confusi pensieri erotici che l'accompagnavano nel sonno e nella veglia. Capì anche di non avere via di scampo, che quella notte lui l'avrebbe uccisa.
Entrambi respiravano appena. Immobili. In attesa che fosse l'altro a fare la prima mossa. Sconvolta, Angélique lo guardò: era giovane, appena più vecchio di lei, un pò più alto, teneva la mano destra sull'elsa del pugnale infilato nel fodero legato in vita, aveva la barba e i capelli ben curati e corti, le spalle ampie, i fianchi stretti, una rozza camicia, pantaloni corti, gambe e polpacci forti e calzava sandali da contadino. Il volto era in ombra.
E' solo un sogno, è certamente solo un altro sogno, non devi aver paura...
Senza rendersi conto di quello che faceva, appoggiò la testa su una mano e gli fece segno di spostarsi alla luce.
Improvvisamente contagiato dall'irrealtà e dal sogno in cui era immersa Angélique, Ori ubbidì. Stupefatta da quei lineamenti scolpiti, così diversi e strani, da quegli occhi scuri pieni di desiderio, lei aprì la bocca per chiedere: Chi sei?, Come ti chiami?, ma Ori pensò che stesse per gridare e assalito dal panico balzò in avanti e le puntò il coltello alla gola.
“No, ti prego, no” ansimò Angélique ritraendosi contro il cuscino, poi, pietrificata, vedendo che non capiva, scosse la testa e tremando lo implorò con gli occhi. Ti ucciderà, questa volta non avrai scampo!
“No, ti prego.”
Non più terrorizzato, in piedi accanto a lei, con il cuore che batteva forte come il suo, Ori si portò un dito sulle labbra per intimarle di non gridare e di non muoversi. “Iyé” sussurrò con voce roca. “No!” Una goccia di sudore gli solcò la guancia.
“Io... non farò nessun rumore” mormorò lei confusa dalla paura, coprendosi i fianchi con il lenzuolo. Lui lo strappò subito via. Il cuore di lei si fermò. Ma in quell'istante capì. In Angélique si risvegliò un istinto primordiale, capiva in quale piano della realtà si trovavano e smise di avere paura. L'istinto le diceva: Stai attenta, lasciati guidare. Guardalo negli occhi, non fare movimenti bruschi, il pugnale, prima di tutto...
Con il cuore che batteva, Angélique lo guardò negli occhi, si mise un dito sulle labbra come aveva fatto lui, poi indicò la lama e con un gesto delicato gli intimò di spostarla.
Ori, teso come una molla pronta a scattare, si aspettava che da un momento all'altro lei balzasse gridando verso la porta. Avrebbe potuto zittirla, ma il suo piano non era quello: lei doveva fuggire quando fosse stato lui a deciderlo, e solo allora mettersi a gridare a squarciagola svegliando tutti.
A quel punto lui l'avrebbe fatta tacere per sempre, si sarebbe appostato e quando i nemici fossero arrivati, al grido di “sonno-joi” avrebbe puntato il pugnale contro di sé e, sputando loro in faccia, si sarebbe dato la morte. Era quello il piano definitivo, scelto tra molti altri: possederla selvaggiamente e poi uccidere prima lei e poi se stesso, oppure, nonostante la desiderasse con tanto ardore, ucciderla subito, come già avrebbe dovuto fare, lasciando i caratteri della Tokaidò scritti sulle lenzuola come la prima volta e scappare dalla finestra.
Ma quelle reazioni da parte sua non erano state previste: lo sguardo fermo, il gesto per allontanare la lama, la richiesta dei suoi occhi blu che non era implorazione, la tensione che non era terrore. E quello strano mezzo sorriso. Perché? Non spostò la lama.
Sii paziente, la voce sussurrò ad Angélique...
Lei indicò ancora la lama, tranquilla, in un tacito scontro di volontà.
Gli occhi di lui divennero due sottili fessure. Voleva distoglierli dai suoi e chinarsi su di lei, ma fu inesorabilmente costretto a ritirarsi. Cosa sta tramando? Abbassò lentamente il pugnale e attese in piedi vicino al letto, pronto a scattare in avanti.
Le mani di lei cominciarono a sbottonargli adagio la camicia, poi si fermarono. Un raggio di luce colpì la croce che Ori portava al collo facendola brillare: la sua croce. Sorpresa di trovare come per miracolo ciò che pensava di aver perso per sempre, Angélique fu invasa da una misteriosa felicità. Come in un sogno si vide accarezzare la croce con dita tremanti.
Era stranamente contenta che lui gliel'avesse rubata per portarla, che una parte di sé lo accompagnasse giorno e notte, come una parte di lui non l'aveva più abbandonata. Ma neppure la croce, la sua croce, la distrasse.
Con dolcezza gli sfilò la camicia e la fece scivolare lungo il braccio destro e sulla mano che ancora stringeva il minaccioso pugnale. Il suo sguardo intenso percorse il corpo di Ori, la ferita alla spalla da poco guarita, i muscoli forti, e di nuovo la ferita.
“Tokaidò” affermò piano, ma a Ori sembrò una domanda.
“Hai” rispose lui, fremente per l'attesa, senza smettere di guardarla.
“Hai.” La croce brillò di nuovo. “Kanagawa?” Ori annuì affascinato, con il fiato sospeso. Contenta che la sua prima intuizione si fosse rivelata giusta, adesso che lui era praticamente nudo Angélique si fidava di più del suo piano. Allungò la mano, e senza distogliere lo sguardo dal suo sfiorò la cintura. Colse un sottile tremore e fu percorsa da un brivido di vittoria.
Non spaventarti, disse la voce. Continua...
Furono le dita di Ori a trovare la fibbia e ad allentarla. La cintura e il fodero del pugnale caddero sul pavimento. I pantaloni gli scivolarono dai fianchi scoprendo un perizoma. Con grande sforzo Ori rimase immobile, il peso bilanciato sulle gambe leggermente divaricate, il corpo che pulsava al ritmo del cuore, gli occhi imprigionati.
Continua, sussurrò la voce, non aver paura...
D'improvviso, Angélique vide l'immagine del suo aggressore dibattersi nella ragnatela che tante generazioni di donne cadute prima di lei nella trappola maschile la aiutavano a tessere. Era determinata e concentrata.
Faceva parte della notte e allo stesso tempo ne era distinta, poteva guardare se stessa e l'uomo che le stava davanti, le dita che andavano a sciogliere la striscia di stoffa e il corpo svelato di lui.
Era la prima volta che vedeva un uomo nudo. La pelle di Ori, a parte la ferita, era perfetta, intatta. Come la sua.
Per qualche attimo lui continuò a dominare la passione, poi la volontà cedette, scagliò il pugnale sul letto e si avventò sopra di lei. Angélique si chiuse come un'ostrica e sgusciò via. Anche Ori si spostò e si lanciò ad afferrare per primo il pugnale. Ma lei non si era mossa con quell'intenzione e ora, sdraiata, lo guardava, in ginocchio sul letto con il coltello e il fallo puntati addosso.
Come in un sogno Angélique lo invitò con un cenno del capo a posare il coltello, a dimenticarsene e a coricarsi accanto a lei. “Non c'è fretta” mormorò pur sapendo che non capiva le sue parole. “Sdraiati qui.
“ Posò la mano sul letto. “Non così, più piano.” Gli mostrò come. “Baciami... no, così mi fai male... dolcemente.” Gli mostrò tutto quello che voleva, che anche lui voleva, si offrì a lui, si ritrasse, si lasciò riprendere, e quando finalmente si unirono lo condusse sulla vetta e poi entrambi precipitarono nell'abisso.
Quando il suo respiro si fu acquietato sentì che la musica stava sempre suonando, ma molto lontana.