Gai-Jin (94 page)

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Authors: James Clavell

Tags: #Fiction, #Action & Adventure

BOOK: Gai-Jin
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Hiraga si affrettò camminando curvo verso la relativa sicurezza del villaggio giapponese, sicuro solo finché la gentaglia e gli ubriaconi non decidevano di scatenarsi. Non c'erano guardie né sentinelle a proteggere il villaggio e le ronde dell'esercito o della marina che a volte ne attraversavano la via principale solo di rado lo difendevano da quegli attacchi.

Hiraga, che naturalmente in quella circostanza non poteva ricorrere all'aiuto di Tyrer, aveva impiegato molti giorni per organizzare l'acquisto.

Nello Yoshiwara nessuno possedeva un'arma del genere. “Molto spiacente, Hiraga-san, le hanno solo i gai-jin” gli disse spaventata Raiko.

“E pericoloso per le persone civilizzate farsi trovare con una di quelle addosso.”

“Raiko!” sorrise Akimoto. “Se mio cugino ne vuole una, bisogna trovargliela. Non c'è nulla che voi non sappiate fare, neh? In cambio vi porterò a letto senza farmi pagare...” Akimoto si scansò per evitare il cuscino che lei gli aveva lanciato ridendo.

“Hiraga-san, vi prego” implorò Raiko usando il ventaglio, “spiacente, ma portate via quest'uomo impossibile, due delle mie ragazze mi hanno già chiesto un giorno libero per far riposare il loro yin dopo l'assalto del suo yang...” Quando furono soli, Akimoto disse serio: “Forse dovresti cambiare idea e dimenticare la pistola. Potrei convincere Ori a incontrarsi con noi qui”.

Hiraga, contento della presenza del valoroso cugino, scosse la testa.

“Ori ha una pistola e la userà non appena ci vedremo. Ho tentato in tutti i modi di stanarlo dalla Città Ubriaca e non ci sono riuscito. Se lo colpisco di sorpresa con una pistola sembrerà un intervento dei gai-jin.

Potrebbe andare all'assalto di quella ragazza in qualsiasi momento, e io sarei spacciato. “

“Magari si stancherà di aspettare. Abbiamo dato l'ordine a tutti quelli del villaggio di segnalarci la sua presenza e di non lasciarlo sbarcare dal mare.”

“Come possiamo fidarci di loro?”

“Ma quando avrai trovato la pistola” disse serio Akimoto, “lascia che me ne occupi io.” Era molto più grosso di Hiraga e, impressionato dal fatto di non averlo riconosciuto, aveva imitato il suo taglio di capelli.

Poi Hiraga aveva avvicinato il marinaio sulla spiaggia fingendo di essere un mercante cinese di Hong Kong e aveva combinato l'affare ponendo come unica condizione che la pistola non fosse rubata. Anche se, ovviamente...

Akimoto lo stava aspettando nel rifugio che avevano affittato in un vicolo del villaggio. “Eeeh, cugino, scusa se rido” disse, “vedo che l'hai trovata, ma con quei vestiti sei davvero ridicolo, se ti vedessero i nostri compagni...” Hiraga scrollò le spalle. “Vestito in questo modo assomiglio a un coolie gai-jin. Molti gai-jin e coolie si vestono così alla Città Ubriaca.” Aggiustò i pantaloni che sentiva stretti sul cavallo. “Non riesco proprio a capire come possano sempre indossare vestiti così pesanti, pantaloni che stringono e giacche aderenti. Quando fa caldo, poi, sono terribili, e si sulla come fontane.” Parlando controllò i meccanismi della colt, la soppesò e la puntò. “E pesante.”

“Vuoi sakè?”

“Grazie, poi credo che riposerò fino al tramonto.” Caricò la pistola, trangugiò il sakè e si sdraiò, contento di sé. Meditò a occhi chiusi e quando si fu acquietato si lasciò scivolare nel sonno, addormentandosi quasi subito. Si risvegliò al tramonto. Akimoto montava ancora la guardia.

Scrutò fuori dalla finestrella. “Questa notte non ci saranno né tempesta né pioggia” disse, poi prese un fazzoletto e se lo legò intorno al capo come aveva visto fare ai gai-jin poveri e ai marinai.

“Cosa intendi fare adesso?” chiese Akimoto spaventato.

“Adesso” rispose lui nascondendosi la pistola nella cintura, “vado a cercare Ori. Se non dovessi tornare, uccidilo tu.” La maggior parte degli abitanti del villaggio che incontrò per strada lo ignorarono, e quei pochi che lo riconobbero, seguendo le istruzioni ricevute, si inchinarono come davanti a un gai-jin e non a un samurai.

Quando era vestito all'europea, Hiraga veniva scambiato dai gai-jin per un mercante eurasiatico o cinese di Hong Kong, di Shanghai o di Manila, perchè la qualità dei suoi abiti e il suo portamento rivelavano alto rango e ricchezza: “Ma non dimenticare, Nakama-san”

Tyrer continuava a ripetergli, “che per quanto ricco tu appaia, se ti dovessi inoltrare da solo nella Città Ubriaca o altrove, gli abiti eleganti non ti risparmieranno dagli assalti o dagli insulti di quelle canaglie”.

La prima volta che era andato a cercare Ori, quando aveva saputo dallo shoya che gli aveva disubbidito, si era precipitato nella Città Ubriaca con i vestiti procurati da Tyrer e quasi subito era stato circondato da un chiassoso gruppo di ubriachi che dopo averlo deriso e minacciato gli si erano avventati addosso.

Solo la sua abilità nel karatè, arte marziale ancora sconosciuta ai gai-jin, lo aveva messo in salvo, permettendogli di ritirarsi, furioso. Aveva lasciato sul terreno due uomini con la testa rotta e un terzo sciancato.

“Scoprite dove si trova Ori! E' subito” aveva ordinato allo shoya.

“Cosa sta facendo e come vive.” La sera seguente lo shoya disegnò una mappa approssimativa: “La casa è qui, su questo angolo di fronte al mare, vicino ai moli. E una locanda per persone di bassissimo rango. Mi hanno detto che Ori-san ha affittato una stanza pagandola il doppio. Un postaccio, Hiraga-san, sempre pieno di gentaglia. Non potete andarci senza un, piano preciso. E così importante mandare via Ori?”.

“ Sì. Il vostro villaggio corre un grosso rischio finché lui è qui.”

“So ka!” Due giorni più tardi lo shoya lo informò che la casa di Ori era bruciata e tra le rovine erano stati trovati i cadaveri di tre uomini. “Mi hanno detto che “l'indigeno” era tra questi, Hiraga-san” disse calmo lo shoya.

“Peccato che le fiamme non abbiano distrutto tutta quella dannata zona e i gai-jin che la abitano.”

“Sì.” Così Hiraga aveva ripreso la tranquilla vita di prima, continuando a frequentare Tyrer, contento di imparare e di insegnare, ignaro di quanto le sue informazioni fossero preziose e importanti per Tyrer, sir William e Jamie McFay. La visita di mezza giornata con Tyrer sulla fregata britannica lo turbò e rafforzò la sua determinazione a scoprire come quella gente che disprezzava tanto avesse inventato macchine e navi da guerra così incredibili, come i deprecabili abitanti di un'isoletta, più piccola del Giappone, sempre che Tyrer dicesse il vero, avessero acquisito la ricchezza necessaria a possedere tante navi, eserciti e fabbriche e potessero comandare su tutte le vie marittime e su gran parte del mondo dei gai-jin.

Quella notte bevve fino a stordirsi, con la mente che oscillava senza posa tra speranza e sconforto, perchè la fiducia che riponeva nell'assoluta invincibilità del bushido e della Terra degli Dei era stata intaccata.

Passava la maggior parte delle serate con Akimoto nello Yoshiwara o al loro rifugio nel villaggio a fare piani e, pur nascondendogli le sue preoccupazioni, a condividere con lui la conoscenza dei gai-jin. Nel frattempo, continuava a tessere la ragnatela con cui ingannava Tyrer. “Ah, molto spiacente, Taira-san, il contratto di Fujiko richiede molte settimane, Raiko è un mercante duro, il contratto è costoso, lei ha molti clienti, molti, spiacente, questa sera è occupata, forse domani...” Ma qualche giorno dopo, con grande disappunto di Hiraga, lo shoya aveva scoperto che Ori non era morto nell'incendio: “Inoltre, molto spiacente, Hiraga-san, mi hanno detto che adesso Ori è improvvisamente diventato ricco, spende molto denaro, come se fosse un daimyo.

Adesso ha affittato diverse stanze in un'altra locanda”.

“Ori ricco? Com'è possibile?”

“Molto spiacente, non lo so, sire.”

“E sapete dove si trova la sua nuova casa?”

“Si, sire, ecco la mappa, molto spiacente per questo...”

“Non importa” disse Hiraga furibondo, “dategli fuoco un'altra volta, questa notte.”

“Molto spiacente, Hiraga-san, non è più così facile.” Lo shoya esteriormente manteneva la calma, ma in realtà era furioso che la sua prima e immediata soluzione per annientare quel pazzo ronin non avesse ottenuto l'esito per il quale aveva pagato. “E più difficile, perchè la casa è isolata e dicono che lui abbia ingaggiato molte guardie del corpo, guardie del corpo gai-jin!” Hiraga considerò freddamente le conseguenze. Tramite un abitante del villaggio che vendeva pesce nella Città Ubriaca fece arrivare a Ori una lettera melliflua in cui si dichiarava contentissimo di sapere che non era morto nell'incendio, come si diceva in un primo tempo, ma che invece era vivo e molto ricco, e lo invitava nello Yoshiwara quella sera stessa perchè anche Akimoto voleva discutere con lui questioni shishi di grande importanza.

Ori rispose subito per scritto. “Non ci vedremo né allo Yoshiwara né altrove, finché il nostro piano sonno-joi non sarà compiuto, la ragazza morta e l'Insediamento incendiato. Se prima di allora tu, Akimoto o qualche altro traditore oserete avvicinarvi vi farò sparare a vista.”

“Dunque sa che l'incendio è stato doloso” commentò Akimoto.

“Di certo. Dove avrà trovato i soldi?”

“Rubandoli, è sicuro.” Alcuni messaggi successivi sortirono la stessa risposta. Un nuovo attentato, questa volta con il veleno, fallì.

Così Hiraga si era deciso per l'acquisto della pistola e aveva studiato un piano. Era giunto il momento di metterlo in atto e quella sera era perfetta. Hiraga, guidato dagli ultimi raggi di sole, attraversò la Terra di Nessuno e si inoltrò nelle luride strade disseminate di buche pericolose della Città Ubriaca.

I rari passanti lo guardarono appena, limitandosi a intimargli di farsi da parte.

 

Ori infilò distrattamente la mano nel sacchetto di monete sul tavolo di fianco al letto e ne tirò fuori una a caso, un dollaro messicano tagliato, che valeva la metà.

Nonostante superasse di cinque volte il prezzo concordato, lo diede alla donna nuda. Lei alzò gli occhi e accennò a un inchino mormorando sconnesse frasi di ringraziamento.

“Che gentiluomo, grazie, amore.”

Mentre la ragazza si infilava nel vecchio vestito cencioso, Ori la guardava distratto, stupito di trovarsi lì, disgustato da quella stanza, dal letto, dalla casa e dal corpo di quella gai-jin pallida, ossuta e dal sedere molle con cui aveva sperato di placare il fuoco che lo divorava. Invece aveva solo aggravato il suo bisogno. Non poteva affatto paragonarsi a lei.

Ora la donna non gli prestava più alcuna attenzione. Aveva finito il lavoro: doveva solo pensare a mettersi al sicuro con l'inaspettata ricchezza, dopo aver bofonchiato i consueti ringraziamenti e qualche bugia sulla sua prestazione; tuttavia non si trattava solo di bugie, perchè se il suo membro non era grosso, era però forte e vigoroso.

Il vestito che le cadeva dalle magre spalle nude strisciava sul tappeto logoro che copriva in parte il legno grezzo del pavimento. Sotto la gonna stracciata non portava le mutande, aveva i capelli castani appiattiti sulle guance coperte da un pesante strato di belletto.

Dimostrava quarant'anni sebbene ne avesse diciannove. Orfana, era cresciuta nelle strade di Hong Kong ed era stata venduta otto anni prima a un bordello di Wanchai dalla madre adottiva.

“Vuoi che torni domani?”

Lui scosse le testa e indicò la porta. Il braccio era guarito dalla ferita e anche se non aveva la forza e l'agilità di prima nell'usare la spada poteva comunque competere con un avversario di media abilità e impugnare una pistola. Il suo Derringer, lì sul tavolo, era come sempre a portata di mano.

La donna azzardò un sorriso, arretrò e lo ringraziò, contenta di ritirarsi senza essere stata picchiata o costretta a prestazioni bizzarre, come aveva temuto.

“Non ti preoccupare, Gerty” le aveva detto la tenutaria, “i cinesi sono come tutti gli altri, a volte un pò schizzinosi, ma questo qui è ricco, fai quello che vuole, e fallo in fretta e bene.” Non aveva dovuto soddisfare quasi nessuna richiesta particolare, solo sopportare con stoicismo e con i necessari gemiti di piacere i suoi forsennati assalti.

“Grazie ancora, amore.”

Uscì, con il dollaro messicano nascosto nel corpetto sudicio che le copriva a malapena il seno flaccido e un'altra moneta di poco valore stretta in mano.

Sul pianerottolo l'aspettava Timee, un marinaio rozzo e corpulento, eurasiatico di sangue misto. Chiuse la porta e l'afferrò. “Chiudi la bocca, sporca puttana” la zittì, poi la costrinse ad aprire la mano per prenderle la moneta. Subito la insultò in cinese e in un inglese gutturale per il magro guadagno.

“Ayeeyah, perchè non hai soddisfatto il tipo?” Le diede un ceffone facendola barcollare e quasi cadere dalle scale. Non appena al sicuro, lei si voltò e lo aggredì con rabbia ancora maggiore. “Lo dirò a Ma Fortheringill, vedrai cosa ti fa!” Timee le sputò dietro, bussò e riaprì la porta. “Musume buona, capo, heya?” Ori aveva preso posto a un vecchio tavolo vicino alla finestra. Indossava una camicia ruvida e calzoni corti, aveva le gambe e i piedi nudi e il pugnale nel fodero della cintura. Quando si accorse che l'uomo stava fissando il sacchetto dei soldi sul tavolo, prese distrattamente un altro dollaro messicano e glielo lanciò. Il marinaio lo afferrò con destrezza, guardò la moneta e sorrise compiaciuto mostrando i pochi denti gialli e rotti che gli rimanevano in bocca. “Grazie, capo. Mangiare?” Si sfregò la grande pancia.

“Mangiare, wakarimasu ka?” Era il capo delle sue guardie del corpo, tra loro parlavano a segni e con qualche parola di pidgin.

Un'altra guardia era appostata nel bar e una terza nel viottolo fuori.

Ori scosse la testa. “No” disse usando una delle poche parole che aveva imparato, poi aggiunse, “Birr-a” e gli fece cenno di andarsene.

Finalmente solo, allungò lo sguardo fuori dalla finestra. Il vetro incrinato, pieno di mosche e rotto in un angolo si affacciava sulla facciata spoglia di un'altra locanda di legno cadente, a una decina di metri di distanza.

L'aria puzzava di umidità. Ori provava una sensazione di sporcizia e di disgusto al ricordo del corpo sudato della donna contro il suo, senza neppure la possibilità di un civile bagno giapponese subito dopo. Certo, avrebbe potuto andarlo a fare nel villaggio, a duecento metri, oltre la Terra di Nessuno.

Ma se ci vado, rischio di incontrare Hiraga e le sue spie sempre in agguato, pensò; Hiraga, Akimoto e tutti gli abitanti del villaggio che meritano di essere crocifissi come criminali comuni per aver tentato di ostacolare il mio grande progetto. Canaglie! Tutti quanti. Hanno tentato di farmi morire nell'incendio, poi con il pesce avvelenato, eeeh, karma che il gatto lo abbia rubato prima che io riuscissi ad acciuffarlo morendo tra conati di vomito dopo pochi minuti al posto mio.

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